Nell'incantevole cornice ambientale e culturale di Spoleto e del Festival
dei due Mondi la Fondazione Sigma-Tau, che da anni è presente al
Festival con la sua particolare rassegna denominata "Spoletoscienza",
ha sfidato le categorie dell'attuale cultura di stampo umanistico proponendo
temi come le biotecnologie e la clonazione.
Davanti a un pubblico per la verità esiguo se paragonato alle folle
traboccanti delle precedenti edizioni (e il tempo incerto non può
certamente essere stato l'unica causa della scarsa "audience") nell'ampio
spazio ristrutturato della ex chiesa di San Nicolò, ora teatro,
sono stati trattati alcuni dei problemi connessi alle trasformazioni che
nell'immediato futuro ci vedranno protagonisti, attivi o passivi, dei
mutamenti a cascata che l'ingegneria genetica innescherà nella
società civile.
Tra questi la questione della "proprietà intellettuale" e della
brevettabilità delle scoperte scientifiche.
Come ha precisato il segretario della fondazione Sigma-Tau, Pino Donghi,
lo scopo del dibattito non è stato quello di portare argomenti
a favore o contro le nuove scoperte biotecnologiche ma quello di cercare
forme di integrazione nel tessuto sociale, delle novità che la
ricerca scientifica ci offre in questo inizio del millennio.
È doverosa una premessa.
Ciò che sta accadendo sotto i nostri occhi non è descrivibile
come lo svelamento di leggi di natura che si impongono di per se stesse
perché incontrovertibili quali ad esempio la rotazione della
terra intorno al sole ma, come ha sottolineato Lilia Alberghina, ricercatrice
presso il Dipartimento di Biotecnologie e Bioscienze presso l'Università
degli Studi di Milano-Bicocca, è la conseguenza del fatto che
un prodotto dell'evoluzione culturale è le biotecnologie è si ripiega
sulla evoluzione biologica e la determina.
In altri termini la nostra società dispone oggi e disporrà
sempre più di informazioni che la rendono capace di produrre
scopi, fini che interagiscono con l'ordine costruito dall'evoluzione
attraverso milioni di anni e che con le loro potenzialità sono
in grado anche di soppiantarlo creando un mutamento evolutivo radicale.
A questo proposito il filosofo Sebastiano Maffettone riferendosi alla
creazione di intelligenze artificiali in grado di competere con le nostre,
ha parlato di "shock evolutivo".
Pertanto l'informazione scientifica nella misura in cui si pone come
fine, come nuovo ordine in competizione con l'ordine manifestato dalla
natura, genera dei problemi che di per se stessi non possono essere
che di natura culturale e sociale e perciò giuridica, problemi
che il semiologo Paolo Fabbri ha definito come "la gestione di collettivi
umani e non umani".
"Di chi sono i nostri geni?" si è chiesto nella relazione tenuta
nella giornata conclusiva, il giurista Stefano Rodotà. E come,
in una organizzazione sociale si traccia il confine tra ciò che
è brevettabile e ciò che non lo è, posto che "non
tutto ciò che noi siamo in grado di inventare o di destinare
all'utilizzazione economica può essere brevettato"?
Infine, quanto delle conoscenze raggiunte deve essere messo a disposizione
della collettività?
Qui entra in gioco il ruolo svolto dai brevetti. Rodotà ha specificato
che il brevetto rende possibile la diffusione di conoscenza. Solo in
quanto è tutelata, la ricerca può rendere pubblici i risultati
che altri soggetti potranno poi utilizzare per ulteriori ricerche.
Tuttavia la conoscenza di dati genetici in alcuni casi può produrre
effetti di discriminazione e allora il diritto, la norma, serve anche
a tutelare la libertà di scelta o la salute delle persone là
dove per esempio c'è una forte pressione delle compagnie di assicurazione
o dei datori di lavoro che al fine di ottimizzare i loro interessi attribuiscono
un valore "aggiunto" alle finalità per la quale la ricerca è
stata condotta. E allora il diritto deve intervenire per stabilire una
"chiusura" cioè per stabilire alcune inclusioni (le cose che
si possono fare) e alcune esclusioni.
La sfida posta dalle biotecnologie conduce inevitabilmente ad una riconsiderazione
di ciò che in una società costituisce "valore" e alla
ridefinizione delle categorie fondamentali della nostra cultura. Criticando
l'etica "portabile" o "gettabile" oggi in uso per trattare e risolvere
i problemi generati dalle biotecnologie (cioè la morale che scopre
che non ha incluso nella ricerca una data persona che viene subito integrata
e che viene improvvisamente considerata un valore), il semiologo Paolo
Fabbri ha proposto una regola che egli stesso ha definito una sorta
di Kantismo semplificato: trattare tutti, umani e non umani come simili
e non come mezzi. Questa regola è ha aggiunto è potrebbe essere estesa
agli uccelli rispetto all'Arci-caccia.
Un ragionamento consequenziale a questa affermazione (e tuttavia lasciato
implicito) sembra quello di affermare su questa base i diritti dell'embrione
rispetto alla società intera.
Ma anche la biologia ci viene incontro offrendoci i presupposti per
rinvenire nella natura stessa un principio fondante l'etica necessaria
per il nostro tempo.
Nella sua interessante relazione Antoine Danchin (direttore del Centro
di Ricerca "Pasteur" dell'Università di Hong Kong) per spiegare
l'architettura della cellula, ha supposto la necessità di un
solido principio di natura fisica che organizza e correla la successione
dei geni. Non possiamo considerare il genoma (l'insieme del patrimonio
genetico presente nei nostri geni) come una semplice raccolta di geni,
sostiene Danchin.
Invece sono importanti le relazioni e i rapporti che essi stabiliscono
tra loro in conseguenza della loro storia evolutiva. Danchin ha invitato
poi ad esplorare l'ipotesi della "vicinanza" intesa sia come
"prossimità" fisica sul cromosoma sia come "similarità"
tra geni o prodotti di geni, come ipotesi chiave per generare nuove
conoscenze.
Allo stesso modo anche la nostra società non può sostenersi
se le diverse sue parti vivono come un insieme di cromosomi isolati
con funzioni, interessi e poteri separati tra loro e talora antagonisti.
Ciò porterebbe infatti alla nascita di cancri sociali quali il
luddismo di cui ha parlato Bill Joy (presidente della commissione del
Presidente degli Stati Uniti per il futuro e le nuove tecnologie) o
a fenomeni del tipo Unabomber sempre ricordati da Bill Joy nel suo articolo
apparso nel mese di Aprile sulla rivista telematica Wired.
Perché ci sia integrazione occorre che il sapere circoli. Come
ha sottolineato il semiologo Stefano Montanari ricercatore esperto di
teoria della guerra, più si nega una circolazione del sapere
culturale più si creano degli spazi e delle nicchie per atteggiamenti
irrazionali o per l'insorgere di movimenti tipo Seattle.
Ma la conoscenza, il sapere non può circolare solo in un senso,
in una direzione.
Per quanto riguarda la produzione di organismi geneticamente modificati
per l'agricoltura e l'alimentazione, difesa da Henry Miller a "Spoletoscienza"
al punto da bollare come irrazionale l'atteggiamento di chi avversa
tale tecnologia, si potrebbe anche osservare che se consideriamo gli
sprechi e l'eliminazione delle produzioni superflue (quanta frutta finisce
sotto i cingoli dei trattori!) possiamo anche supporre che l'Occidente
non ha bisogno di aumentare le produzioni. Lo stesso si può dire
per gli Stati Uniti d'America che tra l'altro ricercano una soluzione
a livello genetico al problema di ridurre un crescente tasso di obesità
nella popolazione.
Per il Terzo Mondo invece, queste tecnologie secondo quanto affermano
esperti come Vandana Shiva e Jeremy Rifkin, potrebbero costituire il
passaporto per un nuovo colonialismo che avrà effetti devastanti
sulle fragili economie e sull'ambiente di quei paesi.
Del resto John Hodgson, già "Editor at large" di Nature Biotechnology,
nella sua relazione a "Spoletoscienza" ha osservato che molti gruppi
scientifici giocando la carta della "fame nel mondo" fanno un gioco
molto pericoloso perché il tentativo di aiutare i paesi in via
di sviluppo fornendo loro piante geneticamente modificate potrebbe non
funzionare.
Va sottolineato poi il fatto che la produzione di piante geneticamente
modificate porterebbe alla perdita di una ricchezza che attualmente
tutti noi possediamo e cioè la ricchezza della biodiversità
delle specie.
Secondo i ricercatori del CNR infatti, le piante transgeniche potrebbero
soppiantare quelle naturali perché essendo più "forti"
potrebbero diffondersi prendendo il monopolio del territorio nelle zone
coltivate.
Inoltre, per quanto riguarda la valutazione dei rischi connessi al consumo
degli alimenti geneticamente modificati, una stima fatta dagli esperti
del CNR prevede la necessità di un periodo di tempo di 10 anni
per conoscere gli eventuali effetti negativi degli alimenti transgenici
sulla salute umana perché molti tumori hanno una lunga incubazione
e perché gli effetti a carico del genoma umano si manifestano
dopo molto tempo.
Giustamente quindi le Autorità preposte hanno scelto la strada
della precauzione. In una società civile e democratica il diritto
alla salute ha una importanza fondamentale e non pare conforme al vivere
democratico l'atteggiamento di chi vorrebbe sfruttare la scoperta e
vedere come andrà a finire senza farsi carico dell'onere di dimostrare
che la tecnologia introdotta è sicura.
Certo, le biotecnologie per quanto attiene il settore della medicina
aprono frontiere di cura impensate fino a fare balenare una promessa
di immortalità.
Ma anche qui i problemi che pongono è come ha sottolineato nella discussione
il filosofo Remo Bodei è sono quelli che riguardano non soltanto la
sfera delle cose realizzate ma anche, per così dire, la sfera
delle cose "desiderate" e quindi pongono il problema del limite del
desiderabile.
"Essere tutti di silicone e avere 200 anni sta bene se si è in
salute come a 20 e se si hanno tutti quelli che ci stanno attorno con
cui condividiamo gli affetti. Se invece si è dei sopravvissuti
e per giunta di silicone credo che questa prospettiva non sia un gran
che".
Cosa penseranno i nostri bis-bisnipoti riconsiderando nel futuro le
nostre attese di immortalità? A posteriori potrebbero pensare
che solo il genio è immortale.