Biotecnologie e clonazione a "Spoletoscienza"
Di quale futuro abbiamo bisogno?

di 
Margherita Bologna

Marghebo2000@yahoo.com


Nell'incantevole cornice ambientale e culturale di Spoleto e del Festival dei due Mondi la Fondazione Sigma-Tau, che da anni è presente al Festival con la sua particolare rassegna denominata "Spoletoscienza", ha sfidato le categorie dell'attuale cultura di stampo umanistico proponendo temi come le biotecnologie e la clonazione.
Davanti a un pubblico per la verità esiguo se paragonato alle folle traboccanti delle precedenti edizioni (e il tempo incerto non può certamente essere stato l'unica causa della scarsa "audience") nell'ampio spazio ristrutturato della ex chiesa di San Nicolò, ora teatro, sono stati trattati alcuni dei problemi connessi alle trasformazioni che nell'immediato futuro ci vedranno protagonisti, attivi o passivi, dei mutamenti a cascata che l'ingegneria genetica innescherà nella società civile. 
Tra questi la questione della "proprietà intellettuale" e della brevettabilità delle scoperte scientifiche.
Come ha precisato il segretario della fondazione Sigma-Tau, Pino Donghi, lo scopo del dibattito non è stato quello di portare argomenti a favore o contro le nuove scoperte biotecnologiche ma quello di cercare forme di integrazione nel tessuto sociale, delle novità che la ricerca scientifica ci offre in questo inizio del millennio.

È doverosa una premessa.
Ciò che sta accadendo sotto i nostri occhi non è descrivibile come lo svelamento di leggi di natura che si impongono di per se stesse perché incontrovertibili quali ad esempio la rotazione della terra intorno al sole ma, come ha sottolineato Lilia Alberghina, ricercatrice presso il Dipartimento di Biotecnologie e Bioscienze presso l'Università degli Studi di Milano-Bicocca, è la conseguenza del fatto che un prodotto dell'evoluzione culturale è le biotecnologie è si ripiega sulla evoluzione biologica e la determina. 
In altri termini la nostra società dispone oggi e disporrà sempre più di informazioni che la rendono capace di produrre scopi, fini che interagiscono con l'ordine costruito dall'evoluzione attraverso milioni di anni e che con le loro potenzialità sono in grado anche di soppiantarlo creando un mutamento evolutivo radicale. A questo proposito il filosofo Sebastiano Maffettone riferendosi alla creazione di intelligenze artificiali in grado di competere con le nostre, ha parlato di "shock evolutivo".
Pertanto l'informazione scientifica nella misura in cui si pone come fine, come nuovo ordine in competizione con l'ordine manifestato dalla natura, genera dei problemi che di per se stessi non possono essere che di natura culturale e sociale e perciò giuridica, problemi che il semiologo Paolo Fabbri ha definito come "la gestione di collettivi umani e non umani".
"Di chi sono i nostri geni?" si è chiesto nella relazione tenuta nella giornata conclusiva, il giurista Stefano Rodotà. E come, in una organizzazione sociale si traccia il confine tra ciò che è brevettabile e ciò che non lo è, posto che "non tutto ciò che noi siamo in grado di inventare o di destinare all'utilizzazione economica può essere brevettato"?
Infine, quanto delle conoscenze raggiunte deve essere messo a disposizione della collettività?
Qui entra in gioco il ruolo svolto dai brevetti. Rodotà ha specificato che il brevetto rende possibile la diffusione di conoscenza. Solo in quanto è tutelata, la ricerca può rendere pubblici i risultati che altri soggetti potranno poi utilizzare per ulteriori ricerche.
Tuttavia la conoscenza di dati genetici in alcuni casi può produrre effetti di discriminazione e allora il diritto, la norma, serve anche a tutelare la libertà di scelta o la salute delle persone là dove per esempio c'è una forte pressione delle compagnie di assicurazione o dei datori di lavoro che al fine di ottimizzare i loro interessi attribuiscono un valore "aggiunto" alle finalità per la quale la ricerca è stata condotta. E allora il diritto deve intervenire per stabilire una "chiusura" cioè per stabilire alcune inclusioni (le cose che si possono fare) e alcune esclusioni.
La sfida posta dalle biotecnologie conduce inevitabilmente ad una riconsiderazione di ciò che in una società costituisce "valore" e alla ridefinizione delle categorie fondamentali della nostra cultura. Criticando l'etica "portabile" o "gettabile" oggi in uso per trattare e risolvere i problemi generati dalle biotecnologie (cioè la morale che scopre che non ha incluso nella ricerca una data persona che viene subito integrata e che viene improvvisamente considerata un valore), il semiologo Paolo Fabbri ha proposto una regola che egli stesso ha definito una sorta di Kantismo semplificato: trattare tutti, umani e non umani come simili e non come mezzi. Questa regola è ha aggiunto è potrebbe essere estesa agli uccelli rispetto all'Arci-caccia.
Un ragionamento consequenziale a questa affermazione (e tuttavia lasciato implicito) sembra quello di affermare su questa base i diritti dell'embrione rispetto alla società intera.

Ma anche la biologia ci viene incontro offrendoci i presupposti per rinvenire nella natura stessa un principio fondante l'etica necessaria per il nostro tempo.
Nella sua interessante relazione Antoine Danchin (direttore del Centro di Ricerca "Pasteur" dell'Università di Hong Kong) per spiegare l'architettura della cellula, ha supposto la necessità di un solido principio di natura fisica che organizza e correla la successione dei geni. Non possiamo considerare il genoma (l'insieme del patrimonio genetico presente nei nostri geni) come una semplice raccolta di geni, sostiene Danchin.
Invece sono importanti le relazioni e i rapporti che essi stabiliscono tra loro in conseguenza della loro storia evolutiva. Danchin ha invitato poi ad esplorare l'ipotesi della "vicinanza" intesa sia come "prossimità" fisica sul cromosoma sia come "similarità" tra geni o prodotti di geni, come ipotesi chiave per generare nuove conoscenze.
Allo stesso modo anche la nostra società non può sostenersi se le diverse sue parti vivono come un insieme di cromosomi isolati con funzioni, interessi e poteri separati tra loro e talora antagonisti. Ciò porterebbe infatti alla nascita di cancri sociali quali il luddismo di cui ha parlato Bill Joy (presidente della commissione del Presidente degli Stati Uniti per il futuro e le nuove tecnologie) o a fenomeni del tipo Unabomber sempre ricordati da Bill Joy nel suo articolo apparso nel mese di Aprile sulla rivista telematica Wired.
Perché ci sia integrazione occorre che il sapere circoli. Come ha sottolineato il semiologo Stefano Montanari ricercatore esperto di teoria della guerra, più si nega una circolazione del sapere culturale più si creano degli spazi e delle nicchie per atteggiamenti irrazionali o per l'insorgere di movimenti tipo Seattle.
Ma la conoscenza, il sapere non può circolare solo in un senso, in una direzione.
Per quanto riguarda la produzione di organismi geneticamente modificati per l'agricoltura e l'alimentazione, difesa da Henry Miller a "Spoletoscienza" al punto da bollare come irrazionale l'atteggiamento di chi avversa tale tecnologia, si potrebbe anche osservare che se consideriamo gli sprechi e l'eliminazione delle produzioni superflue (quanta frutta finisce sotto i cingoli dei trattori!) possiamo anche supporre che l'Occidente non ha bisogno di aumentare le produzioni. Lo stesso si può dire per gli Stati Uniti d'America che tra l'altro ricercano una soluzione a livello genetico al problema di ridurre un crescente tasso di obesità nella popolazione.
Per il Terzo Mondo invece, queste tecnologie secondo quanto affermano esperti come Vandana Shiva e Jeremy Rifkin, potrebbero costituire il passaporto per un nuovo colonialismo che avrà effetti devastanti sulle fragili economie e sull'ambiente di quei paesi.
Del resto John Hodgson, già "Editor at large" di Nature Biotechnology, nella sua relazione a "Spoletoscienza" ha osservato che molti gruppi scientifici giocando la carta della "fame nel mondo" fanno un gioco molto pericoloso perché il tentativo di aiutare i paesi in via di sviluppo fornendo loro piante geneticamente modificate potrebbe non funzionare.
Va sottolineato poi il fatto che la produzione di piante geneticamente modificate porterebbe alla perdita di una ricchezza che attualmente tutti noi possediamo e cioè la ricchezza della biodiversità delle specie.
Secondo i ricercatori del CNR infatti, le piante transgeniche potrebbero soppiantare quelle naturali perché essendo più "forti" potrebbero diffondersi prendendo il monopolio del territorio nelle zone coltivate.
Inoltre, per quanto riguarda la valutazione dei rischi connessi al consumo degli alimenti geneticamente modificati, una stima fatta dagli esperti del CNR prevede la necessità di un periodo di tempo di 10 anni per conoscere gli eventuali effetti negativi degli alimenti transgenici sulla salute umana perché molti tumori hanno una lunga incubazione e perché gli effetti a carico del genoma umano si manifestano dopo molto tempo.
Giustamente quindi le Autorità preposte hanno scelto la strada della precauzione. In una società civile e democratica il diritto alla salute ha una importanza fondamentale e non pare conforme al vivere democratico l'atteggiamento di chi vorrebbe sfruttare la scoperta e vedere come andrà a finire senza farsi carico dell'onere di dimostrare che la tecnologia introdotta è sicura.
Certo, le biotecnologie per quanto attiene il settore della medicina aprono frontiere di cura impensate fino a fare balenare una promessa di immortalità.
Ma anche qui i problemi che pongono è come ha sottolineato nella discussione il filosofo Remo Bodei è sono quelli che riguardano non soltanto la sfera delle cose realizzate ma anche, per così dire, la sfera delle cose "desiderate" e quindi pongono il problema del limite del desiderabile.
"Essere tutti di silicone e avere 200 anni sta bene se si è in salute come a 20 e se si hanno tutti quelli che ci stanno attorno con cui condividiamo gli affetti. Se invece si è dei sopravvissuti e per giunta di silicone credo che questa prospettiva non sia un gran che".

Cosa penseranno i nostri bis-bisnipoti riconsiderando nel futuro le nostre attese di immortalità? A posteriori potrebbero pensare che solo il genio è immortale. 



 
 

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